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Chi l’ha detto che di mamma ce n’è una sola?

Le mie mani scivolarono tremanti in fondo al cassetto in camera dei miei finché, sepolto sotto i maglioni di mamma, incontrarono un foglio di carta.

Ho sempre immaginato che fosse li, e finalmente, a 20 anni di distanza, mi sentii pronta a tirarlo fuori. Era un certificato sgualcito e ingiallito dal tempo, poche righe battute a macchina: la mia data di nascita, il cognome dei miei genitori naturali e il nome del piccolo ospedale in un paese del sud del Salento dove sono venuta al mondo. Uno squarcio di luce nel buio del mio passato. La mia famiglia adottiva non mi ha mai nascosto nulla, eppure, stringere quel vecchio documento, e stato un modo per riappropriarmi delle mie radici. In quel preciso istante i ricordi smozzicati che hanno accompagnato la mia esistenza convergevano in una data e in un luogo.

Riuscì ad immaginare una culla e il volto della donna che mi ha messo al mondo. Anch’io, sono stata nove mesi nel grembo di una donna e ho bevuto il latte al suo seno. Le domande che mi affollavano la mente troveranno una risposta: mi sentivo più forte e pronta a compiere un viaggio nel tempo per ritrovare la mia vera madre.

Non potevo ancora saperlo, ma scoprì, a poco a poco, la sofferenza di una donna costretta a rinunciare alla sua bambina per colpa di un marito infedele, di un amante cinico, delle convenzioni e dei pregiudizi della gente.

Mentre memorizzavo quei dati che avrei usato per ritrovarla, mi rivedo affacciata a una finestra dell’istituto di suore dove ho vissuto i miei primi quattro anni. Trascorrevo le ore a guardare fuori, come se da un momento all’altro venisse qualcuno a prendermi. Ricordo gli androni in penombra e quel silenzio pauroso che mi aspettava ogni volta che tornavo nel mio letto. Ero sempre una delle prime a essere portata dalle suore nell’enorme dormitorio.

Mentre, sotto le coperte, attendevo le mie compagne, il buio si riempiva di mostri e a consolarmi c’era solo un Pinocchio di legno che qualcuno mi aveva regalato.

Tutto questo fino a quando, un bel giorno, il Tribunale mi dichiarò adottabile e, finalmente, le porte di quell’istituto si chiusero per sempre alle mie spalle. Avevo quattro anni.

Non conoscevo il calore di una carezza o la consolazione di un bacio, ma ne sentivo la mancanza. Non avevo idea di cosa significasse avere dei genitori tutti per me, eppure li desideravo disperatamente.

Mi sentivo una principessa che stava per varcare la soglia del suo castello. Ricordo la festa di benvenuto nella mia nuova casa.

Le luci, le parole d’affetto del vicinato, i primi regali e la mia cameretta. Ero felice.

Sono cresciuta serena, circondata da amici, ma mi sono sempre sentita diversa.

Era come se il passato che non conoscevo, avvolto nell’ombra, bussasse di continuo alla mia porta, offuscando ogni mio pensiero… sino a quando non ho aperto quel cassetto.

Non e stato facile dare un contenuto reale a quelle poche righe, così telefono in mano e guida davanti agli occhi, aspettavo che la casa fosse vuota per chiamare uno a uno gli sconosciuti che avevano il cognome dei miei genitori nella mia zona di nascita.

Per non destare sospetti avevo inventato la scusa di una vecchia assicurazione: non mi credeva nessuno. Avevo una voce giovane e, spesso, fatalmente emozionata nella speranza che rispondesse un amico, un parente o un conoscente dei miei genitori naturali. La mia pazienza e stata ricompensata dopo innumerevoli tentativi, durati circa un anno.

Ho scoperto di avere una sorella di 10 anni più grande, Lucia, che mi “aveva cercato per una vita intera”.

Era il 2000 quando ci siamo incontrate per la prima volta in un pomeriggio di inizio estate davanti ad un bar all’ingresso di Lecce, dove Lucia, che vive in Germania, tornava per le vacanze.

E stato come vedere il mio riflesso nello specchio… abbracciarci è stata la cosa più naturale del mondo. I suoi occhi commossi sono riusciti a riempire quel vuoto che mi portavo dentro da quando ero piccola.

Quel giorno non sarebbe potuto essere più intenso di cosi. Da allora non ci siamo più lasciate.

Lucia aveva insistito per essere presente al mio primo incontro con la mamma: “Devo prepararla”, mi aveva detto. “E devi essere preparata anche tu”. Mia sorella sapeva che sarebbe stato un colpo al cuore per me: la sofferenza aveva segnato per sempre quella donna e l’aveva consumata. Da quando il destino ci aveva allontanate era caduta in uno stato di depressione profonda. Attacchi di panico, crisi d’ansia, gravidanze isteriche, tentativi di suicidio plurimi: i ricoveri negli ospedali psichiatrici erano diventati sempre più frequenti e ora, poco più che cinquantenne, non era più la stessa.

Gli psicofarmaci erano il suo pane quotidiano e le avevano stravolto la personalità.

“Vieni, ti offro una fetta di torta”, sono state le sue prime parole, come se ci fossimo lasciate il giorno prima. L’avevo raggiunta in casa sua, era isterica, farneticava. Non mi aveva nemmeno abbracciata. Del resto, la donna che mi aveva messo al mondo era per me una perfetta sconosciuta e io lo ero per lei.

Ma la rabbia iniziale è durata poco per lasciare posto a una tenerezza infinita: era mia madre e l’ho accettata così.

Nei suoi occhi ho riconosciuto un dolore durato anni. La sua pelle, il suo profumo e il suo sguardo mi hanno regalato in un attimo le risposte che ho sempre cercato.

Giorno dopo giorno scoprivo pian piano la sua storia e la mia.

Era stato il distacco forzato da me a distruggerle la vita. Questo l’ho capito con il tempo, mettendo insieme i suoi racconti e quelli di mia sorella, scavando nei ricordi conservati in quell’umile casa, cercando volti e nomi. Il marito l’aveva abbandonata trasferendosi in Belgio per lavoro e rifacendosi una famiglia.

Lei, sola e con mia sorella da accudire, aveva cominciato una storia d’amore con un uomo sposato. Era rimasta incinta di me, ma lui l’aveva ripudiata costringendola ad abortire per evitare lo scandalo.

Mia madre era fuggita via dall’ospedale, mentre si preparava all’intervento, mi aveva fatta nascere rifugiandosi in casa di una coppia di amici che, non potendo avere figli, si erano offerti di adottarmi.

Senza un compagno accanto, marchiata da tutti come un’adultera, voleva dare un futuro alla sua bambina, regalandole una vita migliore.

Con il cuore in frantumi acconsenti all’adozione che venne preparata in ogni dettaglio. Era tutto pronto, io avevo nove mesi.

Nei suoi progetti sarei dovuta rimanere in quella casa di amici accanto a lei, ma lo Stato decise diversamente.

I genitori adottivi, impone la legge, non possono avere alcun rapporto con la madre naturale. Allora fui rinchiusa nel collegio di suore di cui vi ho già parlato. “La mamma”, mi racconto Lucia, “raggiungeva ogni giorno la città per cercare di vederti. Bussava alle porte dell’istituto e chiedeva di riavere indietro la sua bambina. Ma quelle mura imponenti erano inaccessibili”. Eravamo vicinissime, eppure le nostre vite erano state separate.

 

Per me era cominciata una stagione nuova, per lei quella del declino. Il senso di colpa che si e portata dentro le ha consumato l’esistenza. Ogni giorno cerco di guarire le sue ferite, di riempire quel vuoto: ora sono io la madre e lei la creatura da accudire. Ho altri quattro fratelli sparsi. Uno lo condivido con Lucia; figlio, come lei, del primo marito della mamma, e andato a vivere in Belgio con suo papa. Tre, invece, sono i figli di mio padre. Ho conosciuto anche lui, ma nei suoi occhi ho letto solo indifferenza. Nessun rimpianto, nessun pentimento, nessuna voglia di riabbracciare una figlia ritrovata. Tanto tempo fa ha rinunciato a me e io, oggi, ho rinunciato a lui.

Adesso sono mamma a mia volta di Gioele che oggi ha quattro anni e a lui posso donare tutto il mio affetto. Lo stesso che regalo alle mie mamme ogni giorno.

I miei genitori adottivi, hanno sempre accettato tutto di buon grado e li ho sempre coinvolti nelle mie ricerche.

Sento di non avere nulla da rimproverarmi, perché’ convivere con due mamme, e donare a loro l’amore che entrambe cercavano, credo che sia il desiderio più’ bello che abbia potuto realizzare.

La vita molte volte ci toglie, e ci da… ed io, nonostante le sofferenze e i ricordi di quando ero piccola, in cuor mio so, di essere fortunata e ringrazio ogni giorno chi, mi ha dato la possibilità’ di essere oggi, la donna forte che sono diventata

 

Laura

3 commenti

  • FraKikky

    Una storia che ti lascia qualcosa di veramente profondo! Davvero con gli occhi lucidi ed il Cuore pieno di amore ti ringrazio per averla condivisa. Mi hai regalato tanto.

    • Laura Montauti

      Felice di averti emozionato e di aver condiviso questa mia storia con donne belle e forti come voi….

      • Giusy Guarino

        Buon pomeriggio dovete sapere che Laura è una grandissima professionista nell’ ambito degli allestimenti,è un’ insegnante di grande esperienza cultura e classe innata.

        Cara Laura Montauti dopo averti conosciuta ad un corso di formazione professionale
        ci hai parlato della storia incredibile della tua vita .
        Al rientro del corso sono andata a cercare l’ articolo,ho provato una grande emozione leggere le tue parole,è come se si fossero materializzate proprio perché ti ho conosciuta.
        Trovo che sia la più bella e autentica trasposizione a parole di quello che sentì.
        Il tuo grande amore per il prossimo viaggia ad alta quota,sei una bambola meravigliosamente umana,difficile trovarne di questi tempi con un cuore così grande
        ☺️🥰😘🥰😘🥰☺️❤️🥰☺️❤️🥰❤️☺️😘
        Uso la metafora della bambola perché fisicamente sei bellissima mi ricordi Barbie,
        ma il tuo cuore batte a mille,sei troppo forte Laura del mio cuore.
        ❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️

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