Daltonico, il primo album di Antonio Paone
E’ uscito Daltonico, il primo album di Antonio Paone
Antonio Paone nasce nel 1995 ed inizia a studiare musica all’età di 11 anni, approcciandosi fin da subito al mondo delle sei corde.
Ha frequentato il corso di Chitarra Jazz al Conservatorio di Mantova diplomandosi a pieni voti e con lode; prosegue a tutt’oggi il suo percorso di studi nel Biennio di II livello in Chitarra Pop/Rock, lavora come musicista e docente di musica.
L’album, interamente strumentale, è composto da cinque composizioni originali, frutto di un lungo percorso di ricerca personale; come lascia intuire il titolo vuole essere un focus sulla “visione soggettiva e in prospettiva”: ovvero una risposta unica e autentica sulla base di personali esperienze di vita vissuta.
La caratteristica della musica che ha da sempre maggiormente attirato Antonio Paone è la possibilità di comunicare tramite uno scambio di energie e vibrazioni.
Ciò ha comportato una spontanea maturazione nell’approccio alla musica che ha costruito negli anni, inglobando sempre di più la componente compositiva e di arrangiamento, nonché la comprensione delle dinamiche all’interno dei processi musicali (e di riflesso, emotivi) che governano questi scambi così intensi da risultargli quasi tangibili.
Tutto ciò è ricercato attraverso un utilizzo molto sentito e personale di concetti musicali a volte semplici, a volte estremamente complessi, puntando a guidare al meglio l’ascoltatore verso la direzione che la composizione predilige.
“Daltonico” è un album coraggioso, difficilissimo da “etichettare” per genere. Un lavoro dove, per dirla alla Martin Mull, “parlare di musica è come ballare di architettura”. Là dove si insinuano atmosfere con il calore del jazz contemporaneo e del pop come nel brano “Castelli di Sabbia” dove si esplora l’eterogeneità armonica, si possono sentire echi di Jacob Collier, ma anche dei The Beatles con un’esplosione sonora di E-bow e bottleneck da togliere il fiato.
“D.” é l’unico brano dell’album che sfrutta un ensemble composto non esclusivamente da chitarre. Qui è possibile ritrovare, mano a mano che le sezioni del brano si susseguono anche lo spirito hard rock.
L’attenzione per la condotta delle parti in queste composizioni, si palesa molto esplicitamente soprattutto in “Due Voci”: qui due chitarre elettriche dialogano con un andamento contrappuntistico che ha diversi richiami alla musica di Bach e di Chopin elevando quanto più possibile la tessitura sonora finale.
Il disco si conclude con “Rugiada”, un brano per sola chitarra acustica che vuole essere il punto più intimo e delicato del disco.