Il Diario di Anna Frank
Oggi vi raccontiamo di un libro che racconta la tragedia della Shoah nei campi di sterminio nazisti: “Il Diario Di Anna Frank”.
Anna Frank è una ragazza tedesca di origine ebrea.
Nata a Francoforte nel 1929, che, prima di morire a soli 16 anni nel campo di concentramento di Bergen Belsen, ci insegna il valore della bontà nonostante il mondo disumano in cui si trova a vivere.
Perseguitati dai tedeschi, lei, la sua famiglia furono costretti a stare nascosti in un alloggio segreto, fino a quando furono scoperti dalle SS.
Arrestati e portati nei campi di concentramento, la madre di Anna morì di consunzione, e un anno più tardi morirono Margot e Anna di tifo.
Tre settimane dopo la loro morte (1945) gli inglesi liberarono Bergen Belsen.
Il suo famoso Diario fu scritto dal 15 giugno 1942 al 1 agosto 1944. Trovato nell’alloggio segreto e consegnato dopo la guerra al padre di Anna, unico superstite della famiglia.
Pubblicato ad Amsterdam nel 1947, col titolo originale Het acherhuiscil (il retrocasa) offrì ai posteri una lucida e toccante testimonianza della vita in clandestinità di una famiglia ebrea durante la Seconda guerra mondiale e della tragedia della Shoah nei campi di sterminio.
“E’ un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perchè esse sembrano assurde e inattuali. Le conservo ancora, nonostante tutto, perchè continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo che può sempre emergere…”
Le prime pagine, dal 12 giugno all’8 luglio, sono il resoconto della difficile vita quotidiana.
Una ragazzina di famiglia benestante che cerca di mantenere una vita normale, fatta di studio e amicizie, nonostante le restrizioni che la guerra e la persecuzione nazista le impongono.
Dall’8 luglio comincia il racconto dei due anni di clandestinità in un alloggio segreto, sopra la fabbrica del padre.
L’esistenza di questo alloggio è conosciuta solo da pochi amici che portano ai rifugiati provviste e notizie dall’esterno.
La famiglia Frank è composta da Anna, dal padre Otto, dalla madre Edith e dalla sorella Margot, che nel 1942 ha sedici anni.
A loro si uniscono Hermann Val Pels (il cognome della famiglia sarà cambiato nel testo in Van Daan), socio di Otto, sua moglie Auguste, che nel testo viene chiamata Petronella, e il figlio Peter, anche lui di sedici anni.
Un ultimo inquilino, Fritz Pfeffer (Albert Dussel nel libro), chiude il gruppo di clandestini.
L’alloggio è mimetizzato da una libreria mobile che ne nasconde l’entrata e si compone di più stanze, permettendo così la convivenza di due famiglie.
Anna descrive molto bene le speranza e le inquietudini dei componenti dell’Achterhuis: notti trascorse ad ascoltare Radio Orange per avere notizie sulla guerra unite al timore di venire scoperti e denunciati alle autorità.
Emergono anche difficoltà quotidiane della convivenza, come i turni per il bagno o i rapporti con la propria famiglia e gli altri.
Col tempo Anna avverte una sempre maggiore lontananza dal padre e diventa assai critica nei confronti della madre, dipinta come una donna distante e complicata.
Margot è il personaggio che sembra subire più la prigionia, non parla mai, e sono rari i momenti in cui riesce ad aprirsi con la sorella.
Tra gli abitanti della casa l’unico con cui Anna riesce a stabilire un legame è Peter, il figlio dei Van Pels.
Nei confronti di Peter, Anna comincia a provare un sentimento amoroso, che sarà poi ricambiato.
Unici svaghi per Anna, sono la lettura e lo studio delle materie umanistiche, con cui inganna la noia della reclusione forzata.
Un romanzo che ci offre una testimonianza storica delle condizioni degli ebrei perseguitati dal nazismo, ma anche la storia di un’adolescente negli anni della sua formazione.