Amniocentesi in gravidanza: che cos’è?
La decisione di sottoporsi a un test di screening va presa assieme al proprio ginecologo di fiducia, e può ricadere sia su un esame prenatale non invasivo, come il test DNA fetale, sia invasivo, come l’amniocentesi.
L’amniocentesi è un esame diagnostico, invasivo, che individua le alterazioni cromosomiche nel feto.
I risultati sono certi, e nella maggior parte dei casi si svolge a seguito dell’esito positivo di un test di screening prenatale.
Questo esame è utilissimo nella rilevazione delle maggiori trisomie, come la 13, la 18 e la 21; e si esegue mediante il prelievo di un campione di liquido amniotico.
Se l’amniocentesi viene eseguita fra la 16a e la 18a settimana di gravidanza, si definisce precoce, se dopo la 25a allora è tardiva.
Dopo essersi sottoposte ad amniocentesi, le gestanti possono tornare a casa senza ricovero, e stare a riposo per almeno 12-24 ore.
Con l’analisi del campione prelevato si va alla ricerca di alterazioni quali la sindrome di Down, di Turner, di Klinefelter, di Edwars, e i risultati saranno disponibili dopo circa 10-15 gg.
In quanto invasiva, l’amniocentesi spesso è suggerita dal medico in particolari casi quali:
- un test di screening che ha dato esito positivo;
- quando c’è un’anomalia tramite ecografia;
- la gestante ha più di 35 anni o ha familiarità con anomalie cromosomiche;
- la futura mamma ha contratto una malattia infettiva (rosolia, toxoplasmosi, citomegalovirus).
Il rischio di aborto dopo aver eseguito l’amniocentesi è dell’1% e perciò sottoporsi a questo esame è una scelta da ponderare.
Un limite del test è la tempistica degli esiti, non disponibili prima della 19a settimana, e in caso fossero positivi, la scelta di interrompere la gravidanza potrebbe avere gravi conseguenze psicologiche.
Gli esperti si stanno adoperando per ottenere esami con esiti certi in tempi minori, come l’amniocentesi precoce o la villocentesi, ma eseguire l’amniocentesi precocemente, comporta più difficoltà nel prelievo del campione dal sacco amniotico, essendo più complicato l’accesso con l’ago. In questo caso il rischio di aborto sale al 2,3%.
Gli esami di screening prenatale invece sono test non invasivi, che valutano la percentuale entro cui il feto potrebbe presentare delle alterazioni cromosomiche.
Uno di questi è il test del DNA fetale, precoce in quanto fattibile già dalla 10a settimana.
La sua affidabilità nella rilevazione di anomalie come la sindrome di Down e altre microdelezioni è molto alta e arriva al 99,9%.