Villocentesi: ecco a cosa serve
Le future mamme hanno tanti strumenti a disposizione per tenere sotto controllo la salute del loro bambino.
Tra questi ci sono esami di screening prenatale non invasivi (BiTest e test del DNA fetale) o quelli di diagnosi prenatale invasivi come la villocentesi.
Sta al ginecologo di fiducia consigliare quelli più indicati a seconda del singolo caso.
La villocentesi rientra tra gli esami invasivi. Si tratta di un esame che si effettua tra la 10a e la 12a settimana di gestazione, mediante un prelievo dei villi coriali della placenta, che verranno esaminati in un secondo momento.
Il prelievo può avvenire mediante un ago inserito nell’addome o per via transcervicale, più raramente.
In questo secondo caso, il medico usa un catetere vaginale per raggiungere la cavità uterina. In entrambi i casi, il prelievo viene effettuato sotto controllo ecografico.
L’intera operazione si tiene in sede ambulatoriale e solo di rado si usa l’anestesia. Per sicurezza, prima di iniziare i medici verificano:
- numero e la vitalità dei feti con un accurato esame ecografico;
- epoca gestazionale, con biometria fetale;
- migliore sede di accesso al tessuto coriale.
L’esame ecografico aiuta a identificare eventuali anomalie di impianto o a livello uterino. In base ai risultati, i medici possono decidere se proseguire o meno con l’intervento.
I villi coriali prelevati servono a cercare eventuali anomalie cromosomiche nel feto. In particolare, aiutano a individuare i segni di Sindrome di Down e di altre malattie genetiche come la fibrosi cistica.
Le indicazioni inerenti la villocentesi sono simili a quelle dell’amniocentesi. La si effettua soprattutto su donne incinte sopra i 35 anni.
È consigliata per coloro con casi in famiglia di malattie genetiche, anomalie cromosomiche e difetti congeniti del metabolismo. Inoltre, i medici la usano per indagare malformazioni del feto rilevate durante l’ecografia.
In caso di diagnosi prenatale per malattie genetiche e difetti congeniti del metabolismo, gli esperti tendono a preferire la villocentesi all’amniocentesi.
I villi coriali sono più ricchi di DNA rispetto agli amniociti e l’esame è effettuabile in un’epoca gestazionale più precoce.
Anche i tempi di attesa per la diagnosi sono minori rispetto a quelli per l’amniocentesi.
Nel caso di possibili infezioni fetali, invece, i medici consigliano l’amniocentesi.
Per la diagnosi con amniocentesi bastano infatti minuscole porzioni di materiale genetico dell’agente infettante.
La villocentesi comporta una serie di complicanze anche gravi:
- rischio di aborto dell’1%, più basso man mano che l’epoca gestazionale avanza e maggiore nelle donne più mature. Sulla percentuale di rischio incide molto anche la bravura e l’esperienza dell’operatore sanitario.
- Dolori addominali nelle ore a seguire l’operazione.
- Perdite di sangue.
- Febbre.
In questi casi è importante contattare il ginecologo. Per i risultati bisogna aspettare circa 20 giorni.
La loro affidabilità è elevata, specie nella rilevazione di aneuploidie dei cromosomi sessuali e di anomalie cromosomiche, come trisomia 21 (sindrome di Down) e trisomia 18 (sindrome di Edwards).
Nel corso della gestazione, le donne possono scegliere anche di effettuare un esame di screening non invasivo.
Gli esami di questo tipo non presentano alcun rischio di aborto, sono sicuri per mamma e bambino, sono affidabili. Sono esami “probabilistici”, che riportano quanto è probabile che sia presente un’anomalia cromosomica. In caso di esito positivo, è possibile effettuare un ulteriore test con villocentesi o amniocentesi.
Il test del DNA fetale è un esame di screening precoce non invasivo.
Lo si può effettuare dalla 10a settimana di gestazione ed è affidabile al 99,9% nel rilevare le principali anomalie cromosomiche. Il ginecologo di fiducia può consigliare qual è il migliore percorso di diagnosi o screening, a seconda dello stato di salute di mamma e feto.