Matteo Restivo, 110 e Lode non solo in vasca.
Matteo Restivo si racconta: il nuoto e lo studio, tra sogni e obiettivi e grandi traguardi.
Matteo Restivo in poche parole? Dorsista velocissimo e sorriso contagioso, ma non solo.
Nel 2018 ai Campionati Europei di Glasgow abbatte il record nazionale della sua specialità (e porta a casa un bronzo scintillante): ancora oggi nessun connazionale è stato più veloce di lui nella 200 metri dorso. Questo è uno dei tanti traguardi che Matteo ha raggiunto, forte di una determinazione inossidabile.
Perché credo che la determinazione e una visione chiara dei propri obiettivi siano il segreto dei successi di Matteo? Il nostro carabiniere, mentre brillava in vasca, studiava. E studiava tanto. E tanto bene: a fine 2021 si è laureato con il massimo dei voti in Medicina e Chirurgia, nello stesso anno in cui ha vestito l’azzurro olimpico a Tokyo.
Nel 2021 Matteo ha ottenuto un altro primato: è stato il primo atleta professionista a vaccinarsi contro il Covid-19. Si è fatto portavoce di un messaggio importante.
Abbiamo affrontato anche questo argomento, oltre che i sacrifici che fa quotidianamente nel nuoto, l’impegno costante che mette nello studio e la visione calciocentrica dell’italiano medio.
Di Matteo mi è piaciuto molto che ha parlato con lucida obiettività, con una chiarezza esemplare e con delicatezza. La delicatezza, una dote rara in quest’epoca fatta di polemica su Facebook, storie Instagram di 24 ore e frasi secche su Twitter.
E poi c’è quel sorriso che -dicevamo- è contagioso!
Quando e come hai scoperto che il nuoto sarebbe stato il tuo sport?
Ne ho preso coscienza da grande, verso i 10-12 anni perché fino a quell’età ho portato avanti due attività, cioè il nuoto e il calcio. Mi divertivo di più in piscina, avevo fatto più amicizia con i ragazzi del nuoto e già facevo parte degli esordienti B: ero più affine a loro. Ho capito che avrei fatto solo quello nel momento in cui ho dovuto scegliere tra calcio e nuoto, perché non erano compatibili come orari.
La mia propensione per l’acqua, però, è stata evidente sin da piccolissimo. Alla mia prima estate, (avevo 7-8 mesi) ancora non camminavo, eppure puntavo direttamente all’acqua. Se i miei genitori mi mettevano sulla ciambella, mi addormentavo cullato dal mare: era chiaro che ci fosse questa attrazione, questa totale mancanza di paura nei confronti dell’acqua.
Tu hai recentemente dimostrato che lo sport agonistico e lo studio possono andare avanti insieme, con risultati eccellenti: 110 e lode in Medicina e Chirurgia. Hai detto “Il nuoto era un sogno, l’università un obiettivo”. Raccontacelo.
È vero, io ho sempre sostenuto che il nuoto fosse un sogno, mentre la laurea un obiettivo. La laurea l’ho sempre vista come qualcosa di realizzabile e ottenibile con del semplice sacrificio. Sappiamo benissimo che i risultati che ho ottenuto con il nuoto non dipendono solo dalla costanza e dall’impegno. Subentra anche la questione delle capacità atletiche che uno non può allenare oltre un certo punto. Io ho avuto la fortuna di avere queste caratteristiche che, unite al sacrificio e all’impegno, mi hanno permesso di realizzare il mio sogno di bambino che era quello di arrivare alle Olimpiadi.
Le due cose hanno un sapore diverso, ovviamente: laurearmi e farlo con il massimo dei voti, considerando che alle superiori ho fatto un po’ di fatica, era una sfida con me stesso. Volevo dimostrare che effettivamente ero in grado di studiare e bene. Il nuoto, invece, è sempre stato un po’ diverso, nel senso che nessuno si sarebbe aspettato che sarei arrivato dove sono arrivato -nemmeno io, sinceramente!
Mi ci sono trovato. Ho iniziato a migliorare costantemente da quando ho nuotato fino agli Europei del 2018 dove ho realizzato il record italiano per la seconda volta.
L’università è stata una piacevole conferma di qualcosa che io dentro di me sentivo, mentre quello del nuoto è stato un sogno che si realizzava… non saprei come definirlo. Io spesso dico che le Olimpiadi sono state come un viaggio sulla luna.
Cioè?
Quello del nuoto è stato un sogno stereotipato, come quelli che si hanno nell’infanzia -un esempio? Tanti bambini da grandi vogliono fare l’astronauta e, crescendo, si rendono conto delle difficoltà. Ci sono troppe caratteristiche necessarie, troppi sacrifici da fare e alla fine di astronauti ce ne sono una manciata in tutto il mondo.
Io ho sempre visto i Giochi Olimpici in questo modo, da bambini dicevo:”Voglio andare alle Olimpiadi, voglio andare alle Olimpiadi”. Crescendo ho però capito che ci sarebbero andati altri, non io. Erano già più forti e talentuosi e tutti avrebbero scommesso su di loro. Continuando però con passione e il piacere di allenarsi e migliorarsi sono riuscito a diventare uno dei migliori interpreti della mia distanza in Italia fino a diventare il migliore di sempre (2oo metri dorso, ndr) e lì il mio sogno è diventato di più un obiettivo.
Il 5 gennaio 2021 sei stato il primo atleta professionista italiano a vaccinarsi contro il coronavirus. È stato un messaggio dal valore immenso che chiedo di trasmettere anche qui non solo allo sportivo, ma sopratutto al dott. Matteo Restivo: perché è importante vaccinarsi contro il Covid-19 -anzi, perché è importante vaccinarsi?
Appena hanno aperto la possibilità per gli studenti di medicina mi sono vaccinato, sia perché c’era una componente di paura, sia perché faccio tutti i vaccini che esistono e che sono consigliati per la mia fascia d’età. Per esempio, quest’anno mi sono vaccinato anche per l’influenza come ogni anno -e questo mi ha aiutato molto: nel nostro gruppo c’è stata una piccola epidemia di influenza e a me la febbre è durata un giorno soltanto, mentre ai miei compagni è andata un po’ peggio.
Come dovrebbe essere per tutti i medici, credo che vaccinarsi sia la cosa giusta da fare. I rischi connessi alle vaccinazioni esistono, ma sono infinitamente più piccoli rispetto ai rischi connessi alle patologie per cui i vaccini sono pensati.
Si apre un capitolo enorme di dibattito portato avanti da persone poco informate o comunque informate in maniera strumentale (quello delle polemiche no vax, ndr). Da scienziato penso che alla fine quello che conta siano i numeri, quando si parla di prevenzione e di salute pubblica. Il problema sta nella percezione, perché se noi vacciniamo tutta Italia e muore una persona per il vaccino, per la medicina e la salute pubblica questo è un successo. Ma non viene percepito come tale.
Perché?
Perché anche se si tratta di un decesso su cinquanta milioni di vaccinazioni, l’informazione viene ribaltata! Questa notizia viene riportata come “È morto Carlo che era un padre di famiglia, bravo e dedito…” e quindi una persona modello. La potenza di questa comunicazione, di questo dare un volto al numero episodico più unico che raro fa perder di vista il fatto che di Covid-19 muoiono decine di migliaia di persone. Per chi non ragiona con criteri scientifici, questo trae in inganno e porta scetticismo, paure e resistenza alle vaccinazioni.
A chiunque mi chieda, io rispondo. Do informazioni per come posso e per quello che so. E fornisco dati scientifici, probati e attendibili. Il problema è che viviamo nell’era dei social network e dell’informazione libera senza considerare che questa è sì una grande conquista, ma al contempo apre le porte a quella non attendibile. Districarsi tra le varie fonti, se non si è dello specifico settore, può essere molto complicato. Il compito sta a noi “addetti ai lavori”che dobbiamo spiegare e far capire alle persone cosa sia giusto fare.
Il 5 gennaio 2021 mi sono vaccinato e ho condiviso la fotografia perché -seppur nel mio piccolo- sono seguito. Ho pensato che avrei potuto dar l’esempio, dimostrando che il vaccino era la cosa giusta da fare ed era sicuro. Speravo anche che qualche mio collega più seguito di me raccogliesse il testimone e si facesse portavoce di questa scelta che è importante e che ci sta permettendo di uscire dalla pandemia. Senza vaccino, saremmo ancora chiusi in casa.. o in fila al supermercato senza la farina negli scaffali!
La scorsa estate hai partecipato ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020, il traguardo più abito di ogni atleta professionista. Insieme a Lorenzo Zazzeri e Filippo Megli hai realizzato un Olympic Vlog che ha fatto sognare noi tifosi. Ora raccontacele tu, come sono state le tue Olimpiadi?
Nell’Olympic Vlog abbiamo cercato di raccontare le nostre giornate, portando chi ci segue nel “dietro le quinte” per vedere cosa sia un’olimpiade. Purtroppo, però, ci siamo persi gli ultimi tre video con le gare, la piscina, le premiazioni, il rientro in Italia. Tanti bei momenti che avrebbero infuocato gli animi di chi ci sostiene! La Gopro di Lorenzo è stata rubata dalla valigia, dopo che siamo tornati, e questi ricordi sono andati perduti per sempre.
Che Olimpiade è stata?
Io a Tokyo, al villaggio, ero molto stanco. Il raduno pre-olimpico è stato lungo e per normative dovute alla situazione pandemica giapponese la vita era tutt’altro che tranquilla: tutti in camere singole e piccole, mangiavamo presto e potevamo stare poco a mensa… tante piccole cose che hanno reso la permanenza a Tokorozawa poco piacevole.
Devo esser sincero, appena entrato al villaggio, non sono rimasto così impressionato, forse perché il nuoto era tra i primi sport e quando siamo arrivati noi non c’era tanta folla. Mi sono detto: “Ok, bello. Tutto qui?”. Mi era capitato con le Universiadi e con i Mondiali del 2019 e con i Giochi del Mediterraneo di vivere delle situazioni simili a quelle del villaggio olimpico, cioè con più sport e diverse nazioni in un clima di festa. Una gioia diffusa che si percepisce e che però per me non era qualcosa di nuovo.
La cosa che mi ha fatto davvero effetto è stata la prima gara. C’erano Dressel e atleti come lui, che ancora non avevano vinto una olimpiade, ma che si sapeva essere i più forti. Fondamentalmente erano venuti per ritirare la medaglia. Vedere atleti come lui, al top del range mondiale, vincere e piangere, mi ha fatto capire che sia per me sia per Dressel era un qualcosa di completamente diverso da tutte le altre gare cui avevamo partecipato. Perché? Perché è l’appuntamento degli appuntamenti, perché esser lì significa far parte dell’Olimpo degli atleti, quindi figuriamoci a vincere?! Quando ho visto sui primi podi atleti che si sapeva avrebbero vinto piangere, quasi ho pianto anche io dietro di loro e tutto ha assunto il peso emotivo che mi aspettavo avesse.
La mancata ammissione della Nazionale di calcio ai Mondiali io la vedo come una occasione per gli italiani. Hanno l’opportunità di guardarsi attorno e scoprire che il nostro Paese ha squadre eccellenti in tantissimi sport, in primis il nuoto. Quali competizioni abbiamo in calendario? Come possiamo spronare l’Italia ad affacciarsi a bordo vasca e ad appassionarsi?
Questo sicuramente è un duro colpo per l’italiano medio che non guarda altro che il calcio.
Il fatto che questo sia per l’Italia (ma anche per altri paesi) lo sport nazionale è una cosa difficilmente controvertibile e modificabile, sopratutto finche le scelte politiche non si basano sull’aiuto reale e sull’investimento negli altri sport. È un discorso difficile da affrontare e forse nemmeno davvero risolvibile. È un po’ come dire: ”Amazon sta rovinando il commercio delle piccole realtà!”. Battere Amazon è dura perché una volta che stabilisci un dominio si crea un effetto rete, da cui dipende un indotto che difficilmente è superabile da qualcos’altro. Io credo che ci siano tanti esempi di gestione sbagliata. Me ne viene in mente uno, cioè la piscina dove ci alleniamo Anna Chiara Mascolo, Filippo Megli (di cui trovate l’intervista qui), Lorenzo Zazzeri (di cui trovate l’intervista qui) e io -siamo cioè quattro olimpionici. Lì abbiamo due squadre di serie A di pallanuoto e una squadra di nuoto sincronizzato molto forte. Insomma, siamo un centro nuotatorio forse dei migliori, dei più completi in italia. Accanto a noi c’è lo stadio di calcio della Fiorentina che ha approvato un piano di ristrutturazione da 90 milioni di euro, mentre noi non abbiamo i soldi per pagare il gas. Dobbiamo pregare perché il Comune ci aiuti, altrimenti dopo gli Assoluti (Campionati Italiani Assoluti, 9-13 aprile ndr) chiuderemo baracca e burattini. Le sproporzioni sono tante e finché chi può spostare l’ago della bilancia decide di investire sul cavallo che vince, questo cavallo continuerà a vincere.
E cosa può cambiare?
Io penso che le nuove tecnologie come la realtà aumentata e il metaverso daranno la possibilità di avvicinare sempre più persone agli sport. Saranno modi per rendere sport meno di intrattenimento come il nuoto e l’atletica -dove non si gioca, ma si compete- più interessanti e permetteranno di dare uno spazio a sport meno in vista. In fondo accade questo, cioè la televisore parla di calcio, sui giornali si legge di calcio, in radio si sente il calcio e quindi necessariamente si parla di quello. Nuovi mezzi di informazione daranno spazio anche a questi sport minori, dando loro una risonanza maggiore!
Mi piace questa sferzata di ottimismo, andrà sicuramente così: il nostro nuoto lo merita.
E se lo merita la nostra Nazionale, la più forte che l’Italia abbia avuto.
I social media ci danno la possibilità di sbirciare il duro lavoro di questi ragazzi, che possono essere solo un esempio per la generazione che cresce con loro e appresso a loro (ma anche per noi più grandicelli). Il muro del “o studi, o ti alleni” è stato abbattuto e Matteo Restivo è uno di quegli atleti che quotidianamente ci insegna come “con passione e il piacere di allenarsi” si possa andare molto lontano. I sogni non sempre restano tali, ma possono diventare obiettivi.
Caterina Pascale Guidotti Magnani