Salvatore Garzillo, non solo cronaca nera
Salvatore Garzillo si racconta tra giornalismo e arte
Salvatore Garzillo su Instagram si presenta così: “Sono giornalista di cronaca nera e mi piace disegnare”. Fa un ritratto di sé efficace, ma non esauriente. Salvatore è un sì un giornalista, ma è anche un artista. Non solo sta sulla notizia; disegna le cose e le persone che vede, che lo ispirano. Il disegno, infatti, è l’altra faccia della medaglia, non la saltuaria distrazione di un professionista.
Al giornalista dobbiamo l’inchiesta pura, basata sulla velocità nell’approfondimento, la pazienza di chi indaga e la lucida obiettività di chi racconta.
Grazie a tutto ciò abbiamo vissuto le atrocità delle prime settimane dell’invasione russa dell’Ucraina. Possiamo inoltre conoscere la storia della malavita nell’Italia degli anni ‘70 e’8O nella docuserie La Mala – Banditi a Milano.
Abbiamo poi visto raccontata da dentro la Lobby nera della Milano estremista; Salvatore ha lavorato sotto copertura, vivendo in prima persona quello che documentava.
All’artista dobbiamo il disincantato e ironico ritratto della società di oggi.
Un tratto scattante e mai incerto è la cifra stilistica di una personalità attenta e concentrata sul qui e ora. Un artista completo, che lavora anche con i pigmenti che trova sul posto: non ci deve stupire vederlo dipingere con le terre del suolo che calpesta, come ha fatto in Ucraina. E al contempo dobbiamo lasciarci incuriosire dai supporti su cui disegna, spesso improvvisati e casuali.
Salvatore Garzillo è un giornalista che rapido appunta quel che deve per star sulla notizia; è un artista che abbozza veloce sulla carta l’umanità che gli si para davanti. Questa anima il suo profilo Instagram ed è stata anche protagonista di C’ero una volta, la prima mostra personale di Salgar (il suo nome d’arte, ndr) organizzata presso la Galleria Patricia Armocida.
Ha concesso un po’ di tempo a WoMoms, raccontandoci di sé, della cronaca nera e della sua arte.
Sei entrato nel mondo del giornalismo giovanissimo. Quanto è stato graduale l’ingresso nella cronaca nera?
La grande fortuna è stata inciampare molto giovane in un’idea di lavoro che mi sembrava potesse soddisfare la mia curiosità.
Sono nato e cresciuto a Napoli, accanto alla stazione Centrale, in un quartiere molto popolare (come molti punti di Napoli, va detto) dove ci sono clan che comandano da decenni. La cronaca nera era semplicemente vita di quartiere. Ogni tanto sparavano a qualcuno, io provavo a chiedere spiegazioni a mio padre e lui rispondeva: “Eh che vuoi farci, un altro che se n’è andato per avvelenamento da piombo”. Mi nascondeva i dettagli per proteggermi dall’assurdità della violenza.
Però volevo sapere, volevo fare domande, volevo capire.
Ma la grande lezione che ti insegna un quartiere del genere è che “No, non si fanno certe domande, meglio farsi gli affari propri”. Quindi, a 17 anni, per caso o per preghiera, durante un’autogestione al liceo ho conosciuto una giornalista davvero brava (Cristiana Barone) che si occupava di cronaca nera per una televisione privata molto seguita. Ogni mattina guardavo i suoi servizi, mi faceva impazzire. Quando l’ho incontrata le ho chiesto come iniziare e lei mi ha messo subito alla prova. La ringrazierò sempre. Sempre.
L’attenzione agli altri è la caratteristica prima di un cronista: spiegaci in cosa consiste.
Molti pensano che il centro di tutto siano le risposte. Invece ho capito che sono più importanti le domande. Le domande sono il bisogno, le risposte sono il regalo. Ma per fare buone domande occorre ascoltare, osservare, aspettare il momento giusto.
Prendersi tempo non vuol dire perdere tempo. Anche perché a volte è questione di secondi, spesso il lavoro del cronista si gioca sui minuti.
Quanto è importante il lavoro di squadra quando si opera a una inchiesta? Come sono generalmente stabilite la divisione dei compiti?
Qualunque tipo di inchiesta è come un figlio: immagini come potrebbe essere la tua vita con lui, pensi a come farlo crescere nel migliore dei modi, come chiamarlo, cosa fare quando ti fa disperare, come resistere all’impulso di mandarlo affanculo e quando è il momento di lasciarlo andare nel mondo. Quando si lavora in squadra, è come crescere questo bimbo in comunità, ognuno è responsabile di una parte che determina la sua forma finale. Se viene su male, è colpa di tutti. Per oltre dieci anni ho lavorato quasi totalmente in solitaria, una modalità che ben si presta alla mia attività di “nerista” sempre un po’ vagabondo.
Ma negli ultimi tre anni ho iniziato anche un percorso bellissimo con il team investigativo Backstair di Fanpage.it, una creatura inedita per il giornalismo italiano, immaginata da quel visionario di Sacha Biazzo. Che campione.
Cosa è Backstair?
È la squadra (piccola, ma durissima) che lavora alle inchieste video, anche quelle lunghe anni come è accaduto per Lobby Nera. Ma soprattutto Backstair è un grande esercizio di contenimento dell’ego, a partire dal fatto che le firme degli autori sono alla fine del pezzo. Lo spettatore deve guardare tutto il lavoro per capire chi l’ha realizzato, non è distratto dai nomi. Perché alla fine conta solo una cosa: l’opera.
È nata prima la passione per il disegno o l’interesse per la cronaca nera?
Sicuramente il disegno, ma non potrei sistemarli in una scala di piacere. Ho iniziato col disegno da bambino, poi l’ho abbandonato perché avevo trovato altri modi per esprimere la mia creatività e probabilmente il giornalismo è tra questi. Poi, grazie ai “giri di nera” quotidiani tra caserme, commissariati e scene del crimine, il disegno è tornato come un’esigenza.
Molti miei colleghi fumano una sigaretta per prendere “una boccata d’aria”, io disegno. Ovunque, continuamente, anche sugli scontrini.
Nel tuo taccuino disegni sempre le persone che incontri e i fatti in cui ti imbatti anche sul lavoro. Hai detto che spesso lo fai sugli appunti, coprendo il testo con le figure. Capita anche che un disegno sostituisca un appunto, cioè che una nota invece che scritta tu la prenda con uno schizzo?
Disegno e scrittura sono due mondi legati ma con regole d’ingaggio ben precise. Se sto prendendo appunti su un caso sono concentrato sulle parole perché quelle informazioni mi serviranno per scrivere il lancio per Ansa o l’articolo lungo successivamente. Anche se vorrei tantissimo fermarmi a disegnare chi mi sta parlando o la scena che osservo. Le parole hanno sempre la priorità.
Forse anche per questo ho imparato a scrivere molto velocemente, esaurita questa parte posso dedicarmi al disegno.
Come ti dicevo disegno su qualunque supporto, anzi più è privo di pregio e di aspettative un pezzo di carta, più mi sento a mio agio. Mi colpisce l’imperfezione, il modo di stare al mondo, uno slancio umano, l’apparente bruttezza del soggetto. A volte le persone sono disegnate come animali e gli animali come persone, mi interessa la sensazione, non voglio restare chiuso nella ricerca ossessiva della riproduzione fedele.
Ora sto cercando di razionalizzare il processo, ma nella mia testa è automatico, non c’è bisogno di spiegazione, la mano va da sola. È tutto nel taccuino, potrei dirti che è la mia scatola nera.
Il suo taccuino, il primo capitolo dell’affascinante atlante universale del genere umano che sta compilando.
È stato interessante approfondire il processo creativo di Salgar e al contempo conoscere l’approccio che Salvatore Garzillo alla cronaca nera. Insieme a Davide Arcuri ha aperto per noi una incredibile finestra sul mondo del giornalismo, fatto di notizie graffianti, sconvolgenti e vere.
Grazie, Salgar. Mi piace pensare che dopo avere risposto alle mie domande, tu abbia preso in mano una penna e abbia disegnato rapido il carattere che ti si parava davanti!
Caterina Pascale Guidotti Magnani