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Interviste

Penelope Mirotti e la Sindrome da Fatica cronica

Penelope Mirotti e la Sindrome da Fatica cronica

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La sindrome da Fatica Cronica/Encefalomielite Mialgica è una patologia grave e invalidante difficile da diagnosticare che colpisce soprattutto i giovani e gli adulti.

Penelope che cos’è la CFS ovvero la Sindrome da Fatica Cronica?

La Sindrome da Fatica Cronica o Encefalomielite Mialgica (CFS/ME) è una malattia neuro immunitaria cronica molto complessa e debilitante che colpisce soprattutto le donne. Può essere scatenata da un episodio virale, come sta succedendo ora con il Long Covid; ma anche da fattori genetici e ambientali, traumi fisici, cambiamenti nel sistema immunitario e altro.

Il sintomo principale è una una stanchezza profonda e costante, a cui si accompagnano intolleranza allo sforzo, dolore, sintomi simil influenzali come mal di gola o febbricola, sensibilità a luci e suoni, disturbi del sonno, vertigini, intolleranza ortostatica.

Ma anche problemi cognitivi come perdita di memoria e nebbia cerebrale. La maggior parte dei malati non riesce a sostenere un’attività lavorativa o scolastica e nei casi più gravi i pazienti sono totalmente confinati a letto.

Al momento non c’è una cura e si stima che solo il 5% dei pazienti possa guarire dalla CFS.

Anche se questo dato è difficile da misurare concretamente; è certo che questa sindrome può durare anni o decenni e che la maggior parte dei pazienti, anche quando migliorano nel tempo, difficilmente recuperano il livello di benessere precedente alla malattia.

La complessità dei sintomi della Sindrome da Fatica Cronica ne rende complicata la diagnosi. A che età hai scoperto di soffrirne?

Avevo 27 anni quando ho iniziato ad avere i primi sintomi di CFS. Vivevo in Francia e lavoravo come organizzatrice di eventi, essendo freelancer avevo anche 2 o 3 lavoretti extra. Arrampicavo, correvo o sciavo quasi tutti i giorni. Ero una persona estremamente attiva tra lavoro, sport, viaggi e progetti. Prima della Francia avevo vissuto in altri 3 paesi e studiato 4 lingue, mi stavo iscrivendo al mio secondo master.

Ero piena di sogni per il futuro e mi stavo godendo una fase molto positiva della vita. Un giorno, dal nulla, mi sono svegliata stanchissima senza capire il perché. All’inizio ho ignorato la cosa e ho continuato a fare la mia vita ma nel giro di qualche settimana ho iniziato a tornare dall’ufficio alle 5 e addormentarmi fino al giorno dopo. Ho ridotto le mie ore di lavoro, poi ho smesso di fare sport e di socializzare.

Nel giro di sei mesi alla stanchezza schiacciante si erano aggiunti molti sintomi neurologici che rendevano impossibile continuare un’attività professionale o una vita normale.

Ci ha pensato il Covid a interrompere tutto: ho lasciato il lavoro e la Francia, mi sono trasferita in Svizzera e solo dopo un anno e mezzo e tante battaglie con il sistema medico ho ottenuto la diagnosi ufficiale. Ancora oggi non so di preciso cosa abbia provocato la mia CFS.

Quanto ti ha reso invalidante e dopo la diagnosi come hai affrontato la malattia?

Già prima di ricevere diagnosi ero arrivata al mio stadio peggiore con la CFS. Direi che ero a un livello “moderato” della malattia anche se di moderato nella mia condizione non c’era proprio nulla! Dormivo 11 ore a notte e almeno 3 ore tutti i pomeriggi.

Nelle ore in cui ero sveglia avevo sintomi neurologici costanti: acufeni, vertigini, mal di testa, tremori muscolari, sensibilità fortissime ai suoni e alla luce (se qualcuno spostava un piatto in cucina e io ero due stanze più in là mi sembrava di avere un trapano nel cervello). Anche se non sono mai stata allettata non riuscivo quasi più a uscire di casa. Ricordo che camminavo circa 500 passi al giorno, ovvero il giro del palazzo in cui vivevo, e che per recuperare quello sforzo dovevo stare a letto due ore.

A volte andavo a fare la spesa e dovevo sedermi in mezzo al supermercato perché non riuscivo più a reggermi in piedi. Ho iniziato a valutare di comprare una sedia a rotelle, poi sono riuscita a cavarmela con il monopattino elettrico per tutti gli spostamenti. Mi era diventato impossibile programmare qualsiasi attività sociale perché non riuscivo a sopportare la presenza di altre persone o di ambienti rumorosi.

Una conversazione di dieci minuti era così stancante che iniziavo a balbettare e mi sembrava di avere il cervello in fiamme. Con la CFS è come se avessi bevuto del veleno e stessi per morire, però quella sensazione ti accompagna costantemente. È la sensazione più terrificante che io abbia mai provato in vita mia. Mentre ero in questo stato ho passato due anni a fare pellegrinaggi infiniti tra specialisti in Italia, Francia e Svizzera per capire cosa mi stesse succedendo.

A ogni visita mi sentivo dire la stessa cosa: i test sono negativi, stai benissimo, torna a casa.

A capire che era CFS ci sono arrivata da sola, ben prima che mi venisse comunicato ufficialmente. È stato un percorso molto lungo perché io stessa non conoscevo l’esistenza di questa sindrome.

Purtroppo, anche una volta ottenuta la diagnosi, ho affrontato la malattia come fanno tutti i pazienti di CFS ovvero cercando vie d’uscita da sola. Fortunatamente conosco bene l’inglese e sono riuscita a trovare online comunità internazionali di malati che si scambiano migliaia di informazioni, scoprendo che molti stanno trovando modi per migliorare o addirittura guarire dalla CFS.

Ho passato tre anni a studiare la malattia e informarmi su tecniche tradizionali e alternative per migliorare i sintomi, ho provato di tutto: diete, agopuntura, ayurveda, osteopatia, omeopatia, luminoterapia, fisioterapia, crioterapia, integratori e tanto altro.

Ho scoperto l’esistenza di farmaci che possono aiutare a migliorare i sintomi della malattia e ho letto la ricerca scientifica,comparato gli studi e portato i risultati alla mia specialista pregandola di prescrivermeli, e ho dovuto minacciarla di comprarli sul mercato nero se non me li avesse dati lei, perché ero disperata. Infine ho smesso completamente di lavorare e mi hanno sostenuta i miei genitori e il mio ragazzo, con cui vivo in Svizzera. Da sola non avrei mai e poi mai potuto affrontare questa malattia.

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La CFS è stata riconosciuta dall’ Organizazzione Mondiale della Sanità.
Tuttavia ad oggi questa patologia rappresenta un grande enigma per la Medicina, di fatto quali sono le terapie per un miglioramento di vita nel quotidiano?

La raccomandazione principale è il “pacing”, ovvero adattare il proprio stile di vita alla malattia facendo molte pause tra le attività. Per esempio: una doccia = mezz’ora di riposo. Una telefonata = un’ora di riposo, e così via. Ovviamente il livello di attività e di riposo dipende dalla gravità del paziente. Per una persona con CFS severa è già uno sforzo considerevole sedersi nel letto.

Ci sono poi vari trattamenti farmacologici che possono aiutare a mitigare i sintomi, per esempio il farmaco che ho ottenuto dalla mia specialista (Abilify a basso dosaggio). Ce ne sono molti in circolazione ma non tutti funzionano per tutti i pazienti e ci sono effetti collaterali. In generale l’uso di questi farmaci è off label perché non nascono come trattamenti specifici per la CFS. Insomma, è una strada non priva di rischi che va discussa con il proprio medico – se si ha la fortuna di averne uno che capisce la malattia.

Vista l’assenza di una cura farmacologica tantissimi malati si affidano a tecniche di medicina alternativa. Tra tutte quelle che ho provato le più utili per me sono sicuramente la meditazione e la riprogrammazione cerebrale, una sorta di autoipnosi che ha l’obiettivo di calmare il sistema nervoso.

Ultimo, ma non meno importante, è il trattamento all’ozono terapia. In italia se ne parla molto perché è stato proposto per la prima volta dal Prof. Umberto Tirelli che riceve i pazienti di CFS nel suo studio di Aviano. Si tratta di inserire una miscela di ossigeno/ozono nel corpo per autoemoinfusione o insufflazione intestinale. Molti pazienti traggono beneficio da questa terapia. Io ho iniziato solo a gennaio di quest’anno e mi sembra di aver fatto qualche progresso, anche se è difficile stabilirlo con precisione perché la malattia fluttua di continuo.

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Come stai in questo periodo e quanto conta il supporto della famiglia e delle persone care?

Dal 2019 ad oggi ho attraversato due macro fasi della malattia: una discesa vertiginosa fino quasi alla sedia a rotelle nel 2021, poi una lenta risalita. Ma in realtà la progressione di questa sindrome è molto altalenante e si vivono continuamente periodi di alti e bassi. Ancora oggi ogni settimana è diversa da quella precedente e posso stare relativamente “bene” un giorno ma crollare quello successivo.

Ultimamente ho ricominciato a lavorare qualche ora alla settimana. Mi sembra un miracolo, era uno dei miei obiettivi di quest’anno dopo tre anni senza lavoro. Sono anche riuscita a tornare ad arrampicare saltuariamente, addirittura a correre una volta. So che da fuori sembro una persona sana ma non lo sono affatto: ogni sforzo fisico e mentale mi costa ore e ore di riposo.

Se sto mezza giornata al PC ho vertigini e mal di testa per giorni.

Se faccio sport devo mettere in conto che potrei pagarla per una settimana. Non posso permettermi di “sgarrare” sull’alimentazione o sul sonno nemmeno per un giorno.

È raro che io viva una giornata normale, senza sintomi: la maggior parte del tempo mi sveglio stravolta e sto male tutto il giorno, senza contare l’angoscia costante all’idea di peggiorare.

Programmarsi la vita è quasi impossibile perché non so mai come mi sveglierò il giorno successivo. So che sono una miracolata perché ci sono stadi della malattia ben peggiori del mio e non era per nulla scontato che migliorassi. Ma come ogni paziente vivo nell’incertezza e nella speranza che un giorno la medicina trovi una soluzione questa orribile malattia.

Il supporto di amici e famiglia è fondamentale perché la medicina stenta a riconoscere la nostra condizione. Se un paziente con cancro, sclerosi multipla, Alzheimer, diabete o malattie cardiache è preso a carico dal sistema medico e riceve l’empatia e il supporto di tutti, un paziente con CFS è abbandonato a se stesso.

I medici mi hanno accusata di inventarmi la malattia, mi hanno detto che la CFS “era solo una moda”, mi hanno consigliato di andare in chiesa a pregare perché non c’era altra soluzione, mi hanno detto: “beh, cosa pensi di fare, suicidarti?”.

Sono stata ridicolizzata per anni e sono sicura di essere peggiorata, all’inizio, anche per il senso di ingiustizia e di abbandono che ho dovuto subire.

Non è stato facile convincere la mia famiglia che avessi la CFS perché le decine e decine di specialisti che ho visto negavano che avessi un problema.

Ma con il tempo si sono resi conto che qualcosa non andava, perché sono sempre stata una persona iperattiva e piena di progetti e per nulla al mondo mi sarei inventata una malattia che mi impedisce di vivere.

Oggi abito con il mio ragazzo che mi è stato accanto dal primo giorno, ben prima di ottenere una diagnosi o capire cosa mi stesse succedendo, e mi ha creduta – la cosa forse più importante di tutte. Vivo lontana dalla mia famiglia ma da loro ricevo un aiuto economico importante. Tutto sommato mi è andata bene ma per molti malati non è così.

In questi anni mi hanno scritto tante persone accusate dalla propria famiglia di essere in realtà perfettamente sane oppure “solo depresse” – quando la depressione, gravissima sua volta, è completamente diversa dalla CFS.

Non riesco neanche a immaginare l’inferno che stanno vivendo.penelope mirotti

Penelope che progetti hai per il futuro?

 

Con la CFS ho ridimensionato molto gli obiettivi della mia vita. Un tempo progettavo viaggi intercontinentali e carriere sfavillanti, oggi il mio obiettivo n.1 è stare bene, il resto viene dopo. Spero di continuare a fare progressi, tornare a essere economicamente indipendente e vivere il più possibile a contatto con la natura. Vorrei un lavoro soddisfacente ma soprattutto tranquillo, che non comprometta il mio benessere psicofisico. Vorrei imparare ad ascoltare sempre di più i bisogni del mio corpo e vivere la mia vita di conseguenza.

E se proprio devo rivelare un sogno, se guarissi vorrei scrivere un libro sulla mia esperienza con la CFS per infondere speranza a chi sta ancora lottando e dare un senso a questi anni terribili.

Carla Zanutto

 

4 commenti

  • Giada Da Ros

    Complimenti. Un articolo sulla CFSME fatto molto bene. Parlo da paziente e da presidente di un’associazione di pazienti. Bravi.

  • Magni Claudia

    Grazie per questo articolo,
    È molto vicino alla mia esperienza.
    Grazie anche perché quando stai male la cosa peggiore è fare il giro degli specialisti e incappare in persone che non danno importanza ai sintomi e ti buttano giù di morale

    • Carla Zanutto

      Grazie per il suo riscontro con l’augurio che possa trovare l’attenzione che merita e le cure adeguate. Un abbraccio

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