Vulvodinia la battaglia di Arianna Trabalzini
Arianna Trabalzini e la sua battaglia alla vulvodinia
Arianna Trabalzini ha impiegato anni per scoprire di essere affetta da vulvodinia.
E’ sconcertante che una donna su sette ne soffra senza sapere di cosa si tratta.
Dopo aver preso consapevolezza con questo disturbo cronico, Arianna ha rotto ogni tabù ed è attivamente impegnata nel fare divulgazione e sostiene la battaglia per il riconoscimento da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
Cos’è la vulvodinia e come hai scoperto di soffrirne?
La vulvodinia è un disturbo cronico della vulva, che presenta vari sintomi, i quali non risultano mai identici da donna a donna.
È una patologia, ma viene definita anche una delle sindromi invisibili: principalmente si fa distinzione tra vestibolodinia (la parte meno grave) e vulvodinia.
La prima resta localizzata a livello vestibolo-vulvare e presenta sintomi quando la zona è provocata (ex. durante i rapporti sessuali).
La seconda, la vulvodinia vera e propria, si estende oltre il vestibolo e i sintomi sono presenti anche spontaneamente.
Come dicevo inizialmente è praticamente impossibile trovare due donne con gli stessi sintomi. I segnali di allarme possono essere: ipersensibilità vestibolo-vulvare, neuropatia, ipertono del pavimento pelvico, peso vescicale, cistite/candida/vaginite ricorrenti, dispareunia (dolore durante i rapporti), secchezza, microtagli, sensazione di scosse/spilli, bruciori/pruriti.
Nonostante tutto, alla visita anatomica non si rileva niente, la vulva è visivamente perfetta.
Durante il lockdown (2020) vidi un video sulla vulvodinia e decisi di andare dall’esperto intervistato. Oggi ho una diagnosi soltanto perché una volta, per caso, ho sentito quella parola e di mia iniziativa mi sono rivolta a quel medico, il quale durante la visita mi ha subito confermato di avere una versione lieve della patologia.
Non ne avevo mai sentito parlare prima né dai medici a cui mi ero rivolta né durante le mie ricerche sulla cistite cronica.
La vulvodinia non è riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, esiste una terapia per curarla?
Non c’è una sola terapia, ne esistono molte. Ogni donna deve trovare quella, o la combinazione, più adatta a sé per ottenere dei risultati soddisfacenti.
Nei casi peggiori, purtroppo, il corpo non risponde alle cure.
- riduzione dell’infiammazione locale, per cui possono essere impiegati cortisone, aliamidi, quercetina, antibiotici e antimicotici, chirurgia;
- controllo degli impulsi nervosi, attraverso anestetici, antidepressivi, anticonvulsivanti, oppioidi, cannabinoidi, vitamine del gruppo B, nitroglicerina, capsaicina, TENS, SEF, VSNS, agopuntura, infiltrazioni, blocco dei gangli, neuromodulazione sacrale;
- rilassamento della muscolatura pelvica contratta.
E quanti ostacoli hai incontrato nel tuo percorso sanitario?
Purtroppo un anno dopo il primo rapporto sono iniziati i dolori e le cistiti postcoitali. Succedeva spesso continuamente, a ogni rapporto, in periodi migliori più di rado, ma certamente non potevo vivere tranquillamente le mie esperienze.
Ho manifestato i miei problemi a ogni ginecologa vista dai 18 ai 21 anni. Nessuna ha maI preso in considerazione il mio problema.
Mi dicevano che avere spesso la cistite per alcune donne era normale, che l’unica cura era l’antibiotico e che dovevo abituarmi a sopportare.
A volte aggiungevano anche “devi solo rilassarti e non pensarci”.
Io non potevo “semplicemente rilassarmi” perché a causa della contrattura al pavimento pelvico non avevo alcun controllo dei muscoli: il mio dolore è sempre stato fisico e indipendente dalle mie emozioni e i miei stati d’animo.
La contrattura sembra una sorta di barriera e, detto in termini poco tecnici, lo scontro con la penetrazione provocava le mie cistiti.
Dopo tante, troppe, cistiti, il problema è diventato cronico e ha dato origine alla vulvodinia: la mia contrattura preme sui nervi e questo provoca neuropatia, ossia impulsi sbagliati e incontrollati.
È assurdo che nessuna di queste mediche fosse preparata al riguardo: nessuna di loro mi ha mai reindirizzato un* medic* espert* in materia o almeno a un* fisioterapista del pavimento pelvico per la valutazione.
Nessun accenno alla dispareunia, all’ipertono del pavimento pelvico, né alla vulvodinia.
Che tipo di impatto ha avuto la vulvodinia nella tua vita sociale e affettiva?
Il trauma più grosso è stato quando si sono manifestati i primi problemi e poi questi si sono stabilizzati. Ho vissuto male tutta l’adolescenza, le mie esperienze, non riuscivo più a condividere neanche con le amiche perché nessuna di loro aveva mai vissuto un solo episodio di cistite.
Limitavo i rapporti e mi reprimevo.
Ero prigioniera di un loop fatto di dolore, nel quale sentivo di sprofondare ogni volta di più. La vita di coppia, ovviamente, ne risente. Non solo provi dolore fisico, ma poi ti colpevolizzi, ti senti “rotta”.
Mi sono sentita sola, veramente tanto, oltre che incompresa e difettosa.
Dopo la diagnosi, con consapevolezza ho attuato tutti i consigli e le cure del mio medico. È cambiato il mio modo di vestirmi, di fare sport, di prendermi cura di me.
Ho dovuto accettare i farmaci e familiarizzare con essi.
Ho fatto fisioterapia per oltre cinque mesi, ottenendo risultati incredibili, che tuttavia vanno mantenuti con tanto esercizio a casa.
Dal punto di vista sociale ho assunto più sicurezza: finalmente sapevo che quel dolore non era nella mia testa.
Sono tornata a parlarne con le mie amiche perché molte di loro sono future mediche e ho voluto dare il mio piccolo contributo affinché un giorno siano preparate.
La mia relazione è più forte di anni fa e più serena.
Sappiamo cosa dobbiamo affrontare e come gestirlo.
Grazie alla riabilitazione del pavimento pelvico ho acquisito una maggiore conoscenza e consapevolezza del mio corpo, adesso riesco a comunicare molto meglio con il mio partner.
Quanto è importante l’aiuto psicologico di chi sta vicino?
Moltissimo, anche se spesso mi sono tenuta tutto per me, specialmente nei momenti bui.
I miei genitori non si aspettavano che questi problemi nascondessero una patologia, ma mi hanno sempre appoggiata nella ricerca di medici e terapie.
Il mio ragazzo è al mio fianco da otto anni, lui ha vissuto tutto con me, mi ha sempre creduta, sostenuta, incoraggiata.
Abbiamo affrontato l’intero percorso insieme.
Sapeva che non poteva essere una questione psicologica perché lui riusciva a leggere il mio corpo meglio di me.
Ha sempre avuto un ruolo molto importante.
Arianna oggi qual è la tua mission?
Oggi sogno una preparazione maggiore nelle facoltà di medicina.
Sogno più esperti o più onestà tra chi non lo è, collaborazione.
Sogno sensibilizzazione e una legge che permetta a tutte l’accesso alle cure. Inoltre sogno delle diagnosi più rapide.
Studio comunicazione e sulla tematica della sessualità sono sempre stata una persona aperta, ho deciso quindi di fare divulgazione sulla vulvodinia e di aiutare donne che neanche conosco.
Se posso fare del bene a qualcuno che prova quello che ho vissuto in passato, perché non farlo?
Potrei velocizzare l’accesso alle cure per qualcuna e evitarle anni di tormenti: purtroppo la vulvodinia ha un ritardo diagnostico medio di quattro anni.
Queste sono le motivazioni che mi spingono a divulgare su Tik Tok e Instagram.
Vorrei solo che nessun’altra ragazza/donna si debba sentire sola davanti a quei campanelli di allarme.
Carla Zanutto