Mila Fumini
Interviste

Mila Fumini ci racconta RAGU

Mila Fumini ci svela che RAGU non è solo un condimento, ma è anche un progetto bellissimo che celebra il gusto.

Mila Fumini scioglie l’acronimo di RAGU: “Reti e archivi del gusto”. Il ragù non è solo un condimento.

Mila Fumini è una storica che ha dedicato la sua vita alla ricerca d’archivio. E ha avuto questa idea incredibile, ha cioè creato un archivio digitale sulla cucina tradizionale del nostro Paese, un archivio di ricette italiane di famiglia.

Mila ha applicato il rigore della ricerca scientifica al calore della quiete domestica. Ci ha insegnato a scavare tra le righe, nell’abbraccio affettuoso di una nonna e della raccomandazione dolce di una mamma. L’intento è quello di indagare la quotidianità con disincanto, tramandando l’oggettivo valore dei ricettari familiari.

Abbiamo intervistato Mila per approfondire il suo progetto, ma sopratutto per conoscere lei e le strade che l’hanno condotta a Ragù.

Chi è Mila Fumini e qual è il suo percorso di studi?

Che domanda di proporzioni bibliche! Potrei narrarmi così: Mila è stata fin dall’infanzia una persona mooolto curiosa, che passava le sue giornate a chiedere il perché delle cose.

A un certo punto, un adulto un po’ stufo delle troppe domande, le suggerì di andare in biblioteca a guardare tutti i libri e le enciclopedie che contenevano tutte le risposte alle sue molte domande; una volta varcata la soglia delle Biblioteca Gambalunga, quell’essere umano si sentì talmente a casa che da lì non volle più uscire.

Al di là delle battute e dei racconti leggendari. Sono originaria di Rimini dove ho frequentato parallelamente liceo scientifico e musicale studiando violino (che all’epoca era il mio maggiore interesse).

Dato che ero molto interessata ai fenomeni storico-religiosi ma, all’epoca, per fare questo percorso di studi era consigliato fare un percorso in facoltà teologiche confessionali, mi sono iscritta a Filosofia che era il percorso di studi con il maggior numero di esami facoltativi; sicché sono riuscita a mettere tutti gli insegnamenti di studi storico religiosi che erano presenti in tutta l’Alma mater.

In questa maniera, fin dal primo anno di università ho frequentato i corsi di Filosofie e Religioni dell’India e dell’Asia Centrale, Storia delle Dottrine Teologiche, Storia del Cristianesimo, Storia della Chiesa Medievale e dei movimenti ereticali; insomma, tutto quello che potevo andare ad ascoltare di questi ambiti di studio, sono corsa a frequentarlo compreso ebraico, sanscrito (esame che non ho mai sostenuto, rinunciandovi ahimè).

E quando hai capito quale fosse il tuo principale interesse?

Il secondo anno di università, quando un evento che ha cambiato la mia vita: per noi di filosofia era obbligatorio l’esame di Storia Moderna. Io scelsi quello che, in quell’anno accademico, proponeva Paolo Prodi. Il professore svolgeva un monografico su Savonarola e i movimenti profetico-ereticali coevi all’autore fiorentino.

Prodi dava la possibilità di svolgere l’esame in maniera classica o di fare un approfondimento sul monografico, presentando una piccola ricerca originale. Andai a ricevimento da lui e, chiacchierammo dei miei interessi: mi suggerì di andare a consultare una fonte originale del 1632, in Archiginnasio: un piccolo quaderno autografo di una giovanissima fanciulla che aveva abitato in via di Borgo San Pietro e che era stata vagliata dal suo confessore e poi da uno degli inquisitori bolognesi, perché aveva raccontato – per l’appunto in confessione – di aver delle visioni della Vergine e di Cristo.

Come accadeva in quei casi, il confessore l’aveva invitata a scrivere dettagliatamente quello che le si presentava in visione.

Ricordo nitidissimamente il momento in cui mi fu consegnato quel manoscritto. Ad esempio che nella scheda di consultazione del documento nella sala Manoscritti e Rari dell’Archiginnasio, il nome precedente al mio di chi aveva consultato il documento, era quello di Adriano Prosperi che, all’epoca, era passato dalla docenza all’Alma Mater a quella in Normale a Pisa. 

Ricordo l’emozione di quella scrittura graficamente sghemba all’inizio del quaderno e via via sempre piacere fluida. Ricordo che, per l’emozione, andai immediatamente nella sala della biblioteca dove si dovevano lasciare le borse personali prima di entrare, perché c’era un telefono a gettoni e io chiamai mia madre per raccontarle la scoperta emozionante che mi era esplosa tra le mani. Iniziò quel giorno il riconoscimento più fulgido della mia passione: studiare i manoscritti femminili, i cosiddetti ego-documents.

E poi?

Poi ho proseguito gli studi e mi sono laureata in Filosofia. Tre anni dopo la laurea vinsi il Dottorato di Studi Storico Religiosi all’Alma Mater, che all’epoca era diretto da Mauro Pesce, che era stato mio docente di Storia del Cristianesimo.

Purtroppo qui a Bologna non vinsi la borsa di studio, sicché, dopo due anni in cui lavoravo e facevo il dottorato, provai il concorso a Trento del Dottorato in Studi Storici perché sapevo che anche quel corso di studi aveva una forte connotazione e attenzione agli studi storico-religiosi.

Arrivai prima e, oltre quindi a iniziare a percepire un regolare stipendio, il dottorato trentino era ricchissimo di contributi che venivano dati per i percorsi di studio. Questo mi permise di andare a Roma, a fare la ricerca che proposi per la tesi di dottorato direttamente sulle fonti manoscritte presenti negli Archivi Vaticani. Da lì in poi, è stata tutta “gavetta”.

Cosa è per te un archivio?

Come ho accennato sopra per me l’archivio è il corrispondente in terra del Paradiso, una sorta di luogo mitico. A parte le battute per me archivi, biblioteche e musei sono in luoghi più importanti per il nostro sistema sociale perché, parafrasando la celebre frase di Marguerite Yourcenar, essi costituiscono i «granai» della nostra memoria.

Senza luoghi dove siano conservati sistematicamente i materiali memoriali di chi ci ha preceduto, è davvero molto difficile non ripetere i medesimi errori.

Anche in questi giorni, tuttavia, è proprio davanti ai nostri occhi questo: non aver imparato nulla dal marasma che causò la Prima Guerra Mondiale, non aver mai saputo dialogare con questioni irrisolte che provengono da ancor prima, dalla fine dell’Ottocento, nei territori dell’Est Europeo, ha portato allo scoppio di questo ennesimo assurdo conflitto bellico (la guerra che la Russia ha lanciato contro l’Ucraina, ndr).

È tutta una questione di “memoria storica”…

Non dico che è tutta colpa del non saper usare gli archivi, ma in larga parte tutto ciò è causato dal non voler mai leggere ciò che è accaduto in maniera prospettica.

Se noi avessimo capacità di lettura storica – che non è affatto solo saper guardare all’indietro ma, al contrario, leggere il passato per un migliore futuro – tutto ciò si sarebbe presentato con altre dinamiche. Invece noi, soprattutto negli ultimi trent’anni, siamo completamente sguarniti di studi di storia “contemporanea” seria. E l’Italia si è largamente disamorata della memoria storica.

Eppure, se per un attimo ci sforziamo di ricordare, Giuseppe Dossetti in persona si tirò fuori dal suo isolamento, negli ultimi anni della sua vita, e si mise di nuovo a essere presente nell’agone pubblico per difendere la Costituzione.

Perché lo fece? Perché si stava cercando di fare un’operazione di mack-up molto consistente, quasi per l’appunto come il cerone usato dal capo delle forze di destra. Sarò di parte e la mia visione molto politica, ma questo, in un paese che ha una buona memoria storica, non accadrebbe. Guarda, ad esempio, cosa è riuscita a fare la Spagna dopo Franco, pur avendo mantenuto in vita il sistema monarchico.

Mila Fumini
Mila Fumini ©

Cosa sono le Digital Humanities?

Le Digital Humanities sono il tentativo di trasporre in formato digitale, e dunque accessibile attraverso la rete del web, la rappresentazione di documenti analogici. Tutto passa dal web ai giorni nostri. È normale usare come parametro di accessibilità/facilità d’uso Google. A me capita di usare quest’espressione, per esempio quando parlo con mia madre per insegnarle a cercare qualcosa sul web: «cerchi come faresti con Google» e lei capisce come deve approcciarsi al sistema o all’applicazione.

Le Digital sono una teorizzazione che nasce durante la seconda guerra mondiale per il tramite di alcuni informatici e teorici che lavoravano negli USA (Vannevar Bush, Joseph Licklider e Ted Nelson); la questione principale era avere a disposizione, da un singolo posto di lavoro (una delle prime teorizzazioni parlava proprio del concetto di scrivania), molti tipi di materiali sempre consultabili. Un grandissimo sviluppo di questa teorizzazione la si deve a un italiano, un gesuita, Roberto Busa.

 Nell’immediato dopo guerra inizia a viaggiare tra New York e Milano per mettere in piedi il primo progetto informatico applicato a documentazione scritta: a Busa era stato dato il compito di organizzare l’Index Thomisticus e, una volta agganciata l’IBM – che aveva forti finanziamenti da parte del governo statunitense per sviluppare sistemi di decifrazione e traduzione dei materiali criptati e russi – si iniziò la sperimentazione dell’applicazione delle macchine di calcolo a grossi quantitativi di analisi testuale. Tutta questa parte di informatica “umanistica” si è sviluppata in maniera molto più consistente di quello che potremmo immaginare fino alla rivoluzione rappresentata dal word wide web.

Da quel momento le cose si sono moltiplicate e i progetti di rappresentazione, navigazione ed estrazione di dati da documenti – e letteratura – antica, sono decuplicati. 

Dagli archivi “fisici” a quello digitali: chiediamo a Mila Fumini di parlarci del tuo ultimo progetto di ricerca, RAGÙ (acronimo di Reti e Archivi del Gusto).

Un giorno stavo sgomberando la cantina di un’amica e, a un certo punto, trovammo uno scatolone pieno di quaderni, buste contenenti scontrini, ricette mediche, tutti materiali cartacei della persona che aveva posseduto quella cantina prima di lei. Tra le carte che trovammo c’erano un paio di quaderni contenenti ricette di famiglia. Io guardai la mia amica come se avessi trovato un tesoro e le chiesi cosa fare: lei, che aveva alle spalle una solida formazione nel campo dei food studies, mi disse di gettare tutto. Giustamente, dal suo punto di vista, quelle carte non le appartenevano e lei non avrebbe saputo cosa farsene.

Tornai a casa dallo sgombero di quella cantina affaticata non solo fisicamente, ma anche mentalmente: come poteva essere che una persona con quel tipo di background alle spalle, con le sue conoscenze e – pensavo – la sua sensibilità non ritenesse di aver trovato un tesoro?

Per alcuni mesi, successivamente, sono stata di stanza a Rimini, ospite della mia famiglia e lì le mie rotelle si sono finalmente messe in ordine e hanno iniziato a macinare.

Mi sono sempre occupata di scritture religiose femminili e, in particolare, dei cosiddetti ego-documents (diari, epistolari, quaderni di discernimento spirituale) e anche questi quaderni, secondo la mia sensibilità avevano qualcosa di sacro ed erano tracce, importanti, di scritture di donne delle epoche passate.

Mila Fumini
Mila Fumini ©

Da lì nacque l’idea di questo progetto di ricerca: unire tutte le mie conoscenze, andare in giro e fare un po’ di can-can per risvegliare le coscienze. Tutti noi, nelle nostre case, abbiamo dei veri e propri giacimenti preziosissimi di memoria – vedi, alla fine è sempre questo il termine che più mi balza alla mente – che non conosciamo, ai quali non diamo importanza e invece sono la traccia di quello che è stato. Ed è importante dar loro dignità e rappresentazione.

Come ha preso forma il progetto?

Dunque iniziai a scrivere un progetto riguardo i quaderni manoscritti di cucina del dopo-guerra: mi interessava che la gente si mettesse a cercarli, nelle madie, nei cassetti, nei mobili di casa, che me li portasse e che io potessi, digitalizzandoli, restituire loro la dignità che hanno. E così ho fatto. Durante quei mesi ho fatto dei colloqui in giro per l’Italia con quelli che ritenevo essere le realtà più importanti che si occupano di cibo nel nostro paese, ma non ho avuto grande successo in questi dialoghi. Ma ho deciso di proseguire e andare avanti da sola: così ne ho parlato con l’assessore alla cultura della nostra regione che, all’epoca era il bravissimo Massimo Mezzetti, con Matteo Lepore e spinta – questa volta – dal loro entusiasmo, decisi di presentarlo pubblicamente.

Nei vari viaggi di studio per perfezionare il progetto un giorno capitai qui a Bologna e mi fermai a prendere un caffè in Bolognina, al Mercato Albani, vicino a dove avevo abitato prima di trasferirmi a Rimini e un mio amico mi chiese se conoscessi Luca Cesari, l’autore di Storia della pasta in dieci piatti. Risposi di no, ma fu una lacuna che in pochissimo tempo colmai. Una volta conosciuto Luca, per il suo tramite, riuscii ad avere un piccolo finanziamento da parte del Comune di Castelfranco Emilia, per iniziare la ricerca sul campo che, infatti, ha preso le mosse da lì.

Iniziai a fare call pubbliche che, sostanzialmente, si svolgono raccogliendo i quaderni manoscritti di ricette e digitalizzandoli attraverso uno scanner, subitaneamente.

L’idea finale è di uplodare tutto questo materiale in un portale web che contenga una Digital Library contenente i quaderni manoscritti e, se ci riuscirò, una serie di video interviste delle persone che mi porteranno i loro quaderni di famiglia.

Progetti di ricerca in cantiere? sogni?

Per quanto mi riguarda è di mettere in piedi il portale e farlo nella maniera più semplice e funzionale possibile. Questa è una ricerca che, potenzialmente, potrebbe proseguire ad libitum. Fino ad ora l’ho portata avanti io, nel poco tempo che sono riuscita a ritagliare dalle mie principali attività di ricerca in università. E proprio per questo motivo, poche settimane fa, ho firmato una convenzione con l’Istituto Parri di Bologna.

Lì, con l’interessamento di una persona che è stata fondamentale per lo sviluppo del progetto, Agnese Portincasa una importante studiosa del cibo, che ho conosciuto appena presentai l’idea pubblicamente, come mi piace sempre dire «RAGU ha trovato casa».

Il progetto ora non è più portato avanti con i miei soli e semplici mezzi.

Sempre sostenuta e aiutata in tutte le maniere possibili e immaginabili da quel genio di Luca Cesari, il mio nume tutelare nella storia della gastronomia italiana, ma da Agnese e dalla sua bellissima squadra.

In questo modo spero di riuscire a mettere in atto sia una buona attività di Fundraising per sostenere le attività di progettazione, programmazione e uso del portale; ma anche – questo sarebbe il mio sogno – di riuscire a trovare fondi a sufficienza per elargire delle borse di studio.

Ricordo che, prima di rendere pubblico il progetto, andai a parlare con uno dei massimi studiosi di storia del cibo che insegna nel sancta sanctorum della formazione italiana dedicata al cibo.

Gli spiegai che non andavo presso la loro università per trovare un luogo nel quale allocare il progetto; ma per trovare e poi elargire borse di studio e creare una squadra: il colloquio con quella meravigliosa università non è mai proseguito. Alcuni mesi dopo quel colloquio fallimentare, conobbi lo studioso che per molti anni ne fu rettore e mi disse

«Per forza ti hanno detto di no! L’idea non è mica venuta a loro!».

Questo mi ha fatto sempre molto arrabbiare e, al contempo, appassionare. RAGU – Reti e Archivi del Gusto, non è un progetto di ricerca di Mila Fumini.

Questo progetto di ricerca è ciò che io raccolgo e restituisco alla collettività perché la cosa più terribile che possa accadere è perdere la memoria di ciò che è stato.

E sovente, le cose più belle e significative, le hanno fatte storicamente, non personaggi famosi, ma la tua nonna, la mia zia; donne semplicissime che mai e poi mai saranno nominate in un libro di storia. Ecco. Io ho come obbiettivo questo: far parlare i silenti. Perché la storia più bella e appassionante è quella che è stata costruita da chi non ha mai avuto voce, in larga parte, donne.
Il mio sogno è, in fondo, solo questo. Che le persone, tutti noi, nessuno escluso, possa comprendere quanto potente e importante è la memoria e, per l’appunto, di non dimenticarsene mai.

Come darti torto, cara Mila? In un’epoca che vive sulla rapidità di un messaggio, sulla falsa ironia di un tweet o sul filtro che si usa su Instagram, il ricordo del nostro passato si sfalda.

È grazie a persone che mettono la passione della ricerca a servizio di tutti che la Memoria, quella collettiva con la M maiuscola può proseguire.

 

Caterina Pascale Guidotti Magnani

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