una vita come tante
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Una vita come tante di Hanya Yanagihara

Una vita come tante di Hanya Yanagihara, o si ama o si odia

Una vita come tante di Hanya Yanagihara, edito da Sellerio, è vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize. E’ tra i migliori libri dell’anno 2015 per il New York Times, The Guardian e The Times. Senza tener conto che è diventato così tanto un caso editoriale, da aver creato un business di merchandising sul web non indifferente. Inoltre i fan di questo romanzo si recano addirittura a Manhattan per fotografare la casa dei protagonisti in Lispenard Street. A mio modesto parere, mi domando ancora come sia stato possibile un successo simile. Non metto però neanche in dubbio, che io sia una di quelle poche persone che non abbia compreso questo romanzo.

una vita come tante
Photo Credit: @francesca_crn

Una vita come tante di Hanya Yanagihara è un romanzo che si ama oppure si odia. Se si ama questa trama, il volume di ben 1104 pagine lo si legge in pochissimi giorni, in caso contrario possono passare anche diverse e lunghe settimane, come è successo nel mio caso. La scrittura dell’autrice è impeccabile, niente da dire. Forse è anche il suo tipo di scrittura che riesce a incollare alle pagine il lettore, trasportandolo in un turbine di sentimenti contrapposti e spingendolo, sempre di più, a conoscere le successive evoluzioni (sempre sfortunate, fatemelo dire) del protagonista principale.

Come qualcuno ha già detto, il romanzo sembra un’antologia del dolore, della sofferenza, della crudeltà umana e della disperazione.

Qual è il motivo per cui un lettore riesce ad arrivare all’ultima pagina?

Credo semplicemente per la curiosità di scoprire il possibile finale redentivo del protagonista. In caso contrario no, non riesco neanche a immaginare un lettore diverso, che possa avere il solo “piacere” di leggere una serie di eventi devastanti.

La storia di Una vita come tante inizia con l’incontro al college di Jude, Willem, JB, e Malcolm. Successivamente i quattro amici si trasferiscono a New York City e ognuno riesce a far carriera secondo i propri desideri. Il loro legame dura fino alla fine dei loro giorni, attraversando tutte le prove e tribolazioni della vita, dando un meraviglioso tributo alla nozione di amicizia e amore in generale. Questa è l’unica nota positiva che ho trovato in questo romanzo.

Il protagonista principale di questa storia è però uno solo: Jude. Dopo circa 100 pagine, si inizia a capire che è stato abbandonato da bambino, subendo una serie di eventi crudeli e sfortunati che lo devastano, sia moralmente che fisicamente, tanto da buttarsi sull’autolesionismo. La sua è una storia sulle seconde possibilità e sull’imparare a fidarsi di un altro essere umano quando, per tutta la vita, è stato ingannato, perseguitato e abusato sessualmente e fisicamente. Ma è anche la storia di come questo trauma lo abbia perseguitato per tutto il resto dei suoi giorni, nonostante tutto l’amore possibile delle persone a lui care.

Gli eventi di questa storia, soprattutto quelli iniziali, sono alquanto irrealistici ed esagerati

Gli eventi descrivono personaggi e scenari completamente irrazionali e non conformi a ciò che noi conosciamo sulla natura umana. Uno scrittore che ignora tutto questo, tratta i suoi personaggi solo come marionette, automi da manipolare e muovere solo per ottenere il risultato desiderato: far piangere. Hanya Yanagihara fa fare a Jude ogni scelta sbagliata e poi lo finisce spietatamente. Ma perché? A quale scopo? Per farci comprendere cosa sia davvero il dolore basandosi però su una serie di eventi improbabili e irrealistici?

L’autrice in un’intervista ha affermato: “Una delle cose che volevo fare con questo libro era creare un personaggio che non migliorasse mai. Volevo esplorare un livello di trauma e di esistenza di una persona da cui, semplicemente, non ci si può riprendere”. Direi che è riuscita molto bene nel suo intento.

Questo romanzo, infatti, comunica solo il senso del dolore (e lo comunica anche un po’ troppo, perché con 400 pagine in meno sarebbe stato meglio). Non ci dice nient’altro moralmente, psicologicamente o anche filosoficamente su cosa significhi essere vivi, su come riuscire a vivere dignitosamente nonostante un trauma subìto.

Il protagonista infatti non vive, ma sopravvive solamente agli eventi quotidiani

Jude non fa niente per risollevarsi e prendere in mano la propria vita. Per cercare comunque una sorta di felicità con l’affetto dei suoi amici più stretti, da cui è avvolto incessantemente. Scegliere di andare da uno psicologo (ci andrà per poco solo sotto minaccia di Willem)? Psicoterapeuta? Centro di recupero? Macchè, evidentemente è una gran perdita di tempo. Quindi l’autrice sceglie di farlo trascinare da un giorno all’altro, farlo semplicemente annaspare senza andare alla ricerca di un minimo di redenzione. Tant’è che, poco oltre la metà del romanzo, si intuisce già il finale.

Hanya Yanagihara, in un’ altra intervista, pone la seguente domanda: “Non leggiamo narrativa per essere sconvolti?”. La risposta che mi viene da dare non può che essere affermativa, però c’è un però. Sconvolgere le persone con un romanzo così crudo ma ispirato ad eventi realmente accaduti è un conto. Sconvolgerle invece con una trama del tutto inventata, senza neanche mai basarsi su delle ricerche di casi di vita simili (ed è andata proprio così), è davvero un’altra faccenda.

In conclusione, a mio avviso, questo romanzo è eccessivo in modo davvero imbarazzante. Perciò, se siete attratti dal dolore e dalla crudeltà e volete consumare un pacco di kleenex, questo romanzo è tutto vostro. Se invece siete dei lettori che leggono per commuoversi, emozionarsi (e non proprio per essere sconvolti) e per esporsi a delle storie, brutte o belle che siano, che abbiano però un minimo di credibilità e anche una morale positiva, allora vi suggerisco di cercare altrove.

 

Un commento

  • Michela Parpajola

    Sicuramente la scrittrice ha, diciamo così, evidenziato il dolore in tutte le sue forme. Detto questi ho trovato molto molto credibile invece il fatto che Jude, nonostante avesse trovato l’amore sia paterno e sia come coppia poi, non riusci’ mai a goderselo e a superare emotivamente e fisicamente tutto quello che aveva subito.
    Romanzo splendido.

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